Lamie
Questo progetto nasce come rielaborazione artistica a partire da una tesi sperimentale di architettura e fotografia, pubblicata dal Politecnico di Torino nel 2020. Questa tesi, che ho costruito sul tema del turismo lento come nuova pratica di scoperta dei luoghi, quindi di patrocinio, si è poi concentrato in particolare sulla ricerca e quindi strutturazione di una rete di nuovi servizi ubicatbili nel territorio della piana degli ulivi della città di Ostuni, intercettata da una delle vie Francigene del Sud. Questo territorio è oggi fortemente minacciato dalla Xylella, virus che attacca gli alberi d’ulivo e che già ha distrutto larghe porzioni del paesaggio Salentino, l’area più a sud della Puglia.
Queste fotografie, alterazioni costruite dapprima attraverso lunghe esposizioni e illuminazione direzionata, e poi manipolate graficamente, mirano a raccontare non già un altrove definitivo ma insieme l’angoscia e la speranza. Sono foto notturne in cui, senza nessuna illuminazione presente sulla scena, ho voluto mettere in luce, quasi fosse giorno, queste semplici e inutilizzate architetture di pietra, un tempo presidio del territorio, primo avamposto per la reale tutela di questa coltivazione millenaria. In ombra invece, diventando silhouette che tendono a svanire in un cielo vuoto, gli alberi, oggi ancora vivi. Guardo al panorama della piana degli ulivi con ammirazione e speranza, ma avanza lo spettro di un futuro in cui gli alberi lasceranno il posto alle loro sagome scarne. Un’albero morto di xylella sembra uno spettro, un corpo ridotto alla sua sola ossatura. Ciò che prima era maestosità diventa brutalità, la bellezza è altrove appunto. Chi ha visto i territori salentini sa che un solo albero morto svuota di senso una cultura che ha basato identità, percezione, economia e sacralità del territorio su questa verde foresta di milioni di alberi, milioni.
L’altrove, inteso qui come spostamento di un’immagine di territorio dagli occhi alla mente, trova luce, dentro me, in questi cubi di pietra, invisibili sul piano degli investimenti così come essi si nascondono ad una vista d’insieme del territorio, ma un tempo luoghi davvero vissuti.
Oggi potrebbero tornare ad essere nodi di una rete di nuova tutela territoriale, rifugi per il turismo lento, servizi per i camminatori, contenitori di una nuova partecipazione al cambiamento del paesaggio.
Questo interesse per le lamie, rappresentazione umana ultima di questo territorio - prima che fenomeni di luxury economy definissero masserie e trulli come nuovi luoghi per un mercato turistico di lusso e quindi stereotipi - contengono per me la paura e il sogno. Quando penso all’altrove penso a uno spazio altro in cui tutto continua a succedere, dopo aver pagato il prezzo per il nostro disinteresse. Queste lamie possono essere una strada da percorrere sull’onda di una vera ecologia integrale. Oppure, quando gli ulivi perderanno le foglie, diventare visibili anche da lontano, rimanendo li, ancora abbandonate, a ricordarci quello che non volevamo, che un’architettura, come una madre, rimanesse in vita al territorio, un figlio.